Il buon uso del cibo


Mercoledì prossimo ci sarà l’ultima serata di “Alimentiamo la nostra salute” a Reggio Emilia.

Parleremo di erbe aromatiche, alghe marine, spezie.

Negli ultimi anni la scienza ha scoperto come alcune sostanze contenute in questo genere di alimenti ritenuti minori, ossia poveri di macronutrienti, abbiano in realtà un potere protettivo su funzioni vitali e aiutino a ripristinare un buon equilibrio in caso di disfunzioni patologiche.

La tentazione di cavalcare questa onda favorevole è grande.
Si potrebbe compilare un lungo elenco di sostanze fitochimiche, scientificamente comprovate come benefiche, tratto dai vasetti di erbe e spezie appesi al muro che normalmente utilizzo in cucina.
Non nego di provare una certa soddisfazione quando leggo di studi che conferiscono autorevolezza a comportamenti alimentari da me adottati da una vita, ma si tratta di una superficiale esultanza egoica.
Per onestà devo dire che, così come non basterebbe uno studio contrario a farmi cambiare idea, non è uno studio favorevole che mi rafforza.

La scienza è sensibile alle mode, piega la ricerca della verità del momento all’argomento che incontra interesse. Interesse di pubblico, interesse industriale, interesse sanitario.

Il nutrizionismo ha sposato negli anni tesi diverse e ha condizionato pesantemente le nostre credenze.

In particolare ci ha privato di due criteri autonomi e da sempre autogestiti di orientamento.

La fiducia nelle conoscenze tradizionali e la fiducia nei nostri sensi.

Quello che io spero ogni volta che un corso finisce è di essere riuscite a risvegliare una capacità personale di rapportarsi con il cibo di cui ogni persona è dotata.
Noi esseri umani sappiamo cosa mangiare, siamo qui grazie a questa conoscenza, altrimenti ci saremmo estinti.
La storia dei popoli ci ha insegnato il valore della cultura legata all’atto di nutrirsi.
Intuiamo il potere curativo del prendersi cura di chi amiamo attraverso il gesto sacro del cucinare.
Dobbiamo solo ricontattare questo sapere, ricominciare a crederci.

Qui, nel ricco Occidente in crisi, manca un legame vivente con il patrimonio legato alla tradizione. Ormai i nonni sono tutti portatori della cultura del cibo del dopoguerra, pesantemente influenzata dal modello americano. Forse nei paesini in montagna e in alcune zone del sud Italia restano ancora dei viventi con conoscenze dirette.

Per la maggior parte di noi il legame con le conoscenze tradizionali, quello che insegna la mamma, non ci può aiutare.

Resta però il legame con i nostri sensi.

Bisogna ritrovarlo, andando a ripulirlo dagli strati di inganni sensoriali operati dall’industria alimentare.
E’ una forma di libertà irrinunciabile essere capaci di distinguere il cibo.
Avere un corpo capace di reagire alle molte imitazioni di cibo di cui sono pieni gli scaffali dei supermercati è una ricchezza che vorrei che tutti potessero avere di nuovo.

Che tutti possano reagire con un rifiuto e finalmente scegliere in libertà un cibo vero è la speranza che nutriamo.

Promuovere questa libertà è il compito che abbiamo deciso di assumerci.

Fare un buon uso del cibo significa salvaguardare il nostro benessere, quello della nostra terra, quello delle altre persone.
Stamattina ho fatto un giro in libreria e ho preso “In difesa del cibo” di Michael Pollan, se avete voglia di leggere qualcosa che fa riflettere, non perdetevelo.

Lorella