Il biologico non è tutto uguale


Leggo alcune frasi di un esponente di Confagricoltura durante una tavola rotonda promossa dalla Upbio, Unione nazionale dei produttori biologici e biodinamici.

-Crediamo nel biologico dei grandi numeri, è un settore che deve essere sempre più business.
-E’ necessario evitare la trita contrapposizione ideologica tra convenzionale e biologico.
-Non esiste un’agricoltura buona e una cattiva.

 

Nonostante la crisi e la generale contrazione dei consumi, il bio sta continuando a espandersi.
L’Italia ha la leadership in Europa per numero di operatori certificati e per ettari di superficie coltivati, e continuiamo ad aumentare le importazioni di prodotti biologici.
Metà degli italiani apprezza i prodotti biologici, il fatturato del settore è più che triplicato nell’arco di un decennio.

 L’attenzione dei consumatori verso il biologico non nasce dall’interesse a rendere florido un settore dell’industria agroalimentare, chi mangia biologico non lo fa per aumentare il business dei Confagricoltori. All’origine della scelta, anche sporadica, verso prodotti biologici c’è un rifiuto verso un cibo che viene percepito come impuro, povero, svuotato. L’impulso che muove è la ricerca di una fonte rassicurante e amorevole di nutrimento. La madre, la Natura.

Ciò che manca al cibo industriale è la purezza di intenti di chi lo realizza. Da questa mancanza deriva tutto il resto: la logica di sfruttamento del suolo, delle persone, delle risorse; l’uso indiscriminato dei trattamenti chimici; la distruzione di tonnellate di prodotti per scopi commerciali.

Ad una logica di predazione e sfruttamento si può solo contrapporre un senso di rispetto e tutela: è necessaria la contrapposizione ideologica. Solo se si approda ad una chiara distinzione, solo se si giudica, si ha la bussola per compiere le scelte pratiche quotidiane.

L’agricoltura è buona o cattiva a seconda delle persone che la praticano, dei fini che perseguono, dei metodi che applicano e soprattutto delle intenzioni che li animano.

 

Tre giorni fa la notizia di un altro sequestro di merce: 1.500  tonnellate di soia, mais e grano tenero falsamente certificati come «bio» contenenti Ogm o contaminanti chimici non permessi nel biologico (e in quantità decisamente superiori a quelle consentite per il convenzionale).
La maggior parte era destinata al consumo animale.
Interessante notare che sono coinvolte oltre a varie aziende italiane, moldave e ucraine, anche due enti italiani di certificazione e  analisi dei prodotti.

Per arrivare al biologico dei grandi numeri c’è sempre qualcuno che si inventa una scorciatoia.

 

L’agricoltura biologica, a norma del Regolamento europeo, va considerata nel contesto complessivo. Se segue lo stesso modello agroindustriale dell’agricoltura convenzionale, ne diventa un semplice settore, misurato in termini di profitto commerciale. Significa quindi orientamenti produttivi sempre più specializzati, eliminazione della policoltura e del ciclo chiuso, massiccio uso di fertilizzanti organici al posto di quelli chimici, grandi quantità e grandi distanze per la distribuzione, grande spreco di risorse. Sempre la stessa logica predona.

Conosco gente che coltiva biologico, qualcuno ha la certificazione, qualcuno no.
E’ gente che si è data questo scopo nella vita, coltivare con amore e rispetto della Terra.
Gente che non pensa di avere tra le mani un terreno da sfruttare, ma un dono che custodisce e rende fertile per lasciarlo a quelli che verranno dopo in condizioni migliori di come lo ha trovato.
Gente che alleva animali liberi, che vive nei luoghi in cui lavora e ci alleva anche i propri figli.

 

Il biologico ha senso come parte di un sistema agroecologico e solidale.

La partecipazione attenta di chi acquista i prodotti ne è parte fondamentale, e permette di realizzare nel locale una sovranità alimentare.

Locale e stagionale sono le premesse indispensabili.

Ciò che è necessario è che chi acquista si assuma la responsabilità del suo gesto.
Esercitare il proprio potere di acquisto significa premiare con consapevolezza comportamenti e prodotti selezionati sulla base di principi condivisi.

Una cipolla o una carota da un produttore che pratica coltivazioni intensive io preferisco non comprarla, anche se è certificata biologica. La carota che mi nutre deve essere sana, d’accordo, ma deve anche essere arrivata a me senza impoverire ulteriormente la Terra in cui vivo.

Dei molti che acquistano biologico larga parte è mosso dalle stesse mie considerazioni. Ingenue e ideologiche per la maggioranza. Il biologico non è tutto uguale.

Dispiace dirlo, l’esponente di Confagricoltura non ha capito nulla.

 

Maggiori consumi, maggior produzione, maggiori profitti, maggiori investimenti, maggiore occupazione: promuoviamo la crescita.
Chissà quando è stato che abbiamo cominciato a credere che crescere sempre e comunque sia la cosa migliore da fare.
La crescita senza fine è un’aberrazione che troviamo solo in una tragicamente diffusa patologia, il cancro.
E’ un modello che non funziona, ne siamo stati testimoni.

Forse siamo stanchi di limitarci a stimare i danni.

 

Lorella


 

 

 

 

 

 


Commenti (1)

  1. loredana fantini

    Sottoscrivo in pieno quel che hai scritto.
    Noi ”consumatori” abbiamo uno strumento formidabile fra le mani: la nostra scelta responsabile.
    Indirizzarci verso i produttori locali di beni e di servizi non serve solo a sostenere l’economia di un luogo, ma anche a creare una comunità più solidale e cosciente della sua interdipendenza. Senza contare poi i benefici dal punto di vista ambientale.
    Attraverso queste scelte abbiamo un grande potere di cambiare realmente il mondo.
    grazie- ciao a tutte

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