Inimmaginabili sapori


Credevo, come quasi tutti gli italiani, di aver avuto ricevuto come dote di nascita la buona cucina. Invece viaggiando ho compreso il limite di ogni conoscenza specifica.

foto mercato asia

La cucina italiana, emiliana, reggiana, che ci piace pensare tra le migliori del mondo, è solo una piccola testimonianza in un orizzonte enormemente più vasto. La nostra formazione, la nostra cultura del cibo, pur ricca, può di fatto limitarci. Ci ostacola alimentando in noi il pregiudizio, ci rende spesso sprezzanti verso altre forme di tradizione gastronomica.

In Cina la pasta ripiena ha mille forme e origini antichissime. Gli spaghetti nascono dalle mani magiche dei cuochi Uiguri. A Kashgar ancora oggi si creano i langman facendo roteare in aria i polsi con i fili di pasta tra le dita. 
foto spaghetti cinesi
Scoprire altre origini e versioni di piatti che consideriamo molto “nostri” cambia la prospettiva.

In Oriente le mie esperienze con i sapori sono state intense.

La stimolazione dei sensi in Asia è ridondante. Gusto e olfatto si sviluppano  in ampiezza e profondità. Sapori nuovi. Sapori noti in combinazioni imprevedibili. Il tatto, senso poco stimolato dalla cucina nostrana, si risveglia quando il palato testa consistenze sconosciute, trame di fibre inconcepibili fino a quel momento.
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Succede di avere incontri con alimenti che non ci piacciono, prime esperienze in cui subiamo uno shock, un moto di stupore, quasi disgusto. Ci sentiamo colpiti, un po’ offesi dal trauma percettivo. Il nuovo ci sorprende. La sorpresa fissa l’esperienza nella memoria.

Per molti è sufficiente questo primo approccio per catalogare l’alimento fra quelli sgraditi ed evitarlo per il resto della vita. A volte invece resta la voglia di andare oltre la sorpresa e la diffidenza iniziali. Resta la curiosità di conoscere gli aspetti meno evidenti di quel sapore. Matura il desiderio di superare la naturale avversione per l’ignoto. Le sfumature di quell’odore dove portano, cosa evocano? Si approfondisce la conoscenza, aumenta l’intimità e scompare la paura.

Succede poi che arriva un momento speciale in cui ti accorgi che proprio quel sapore è ciò che cerchi, capisci che ti manca il suo carattere per completare il piatto che prepari.
Ciò che all’inizio era estraneo diventa amico, il mondo diventa all’istante un po’ più grande e un po’ più tuo. Nasce un piatto nuovo. Una nuova ricetta da ripercorrere e scrivere e riprovare fino alla stesura definitiva.

La ricetta è la mappa. Segna il cammino per arrivare al tesoro. Una nuova esperienza. Qualcosa di personale che diventa disponibile per altri. Un dono che passa di mano.

Un sapore sconosciuto è inimmaginabile.
L’unico modo per conoscerlo è farne esperienza, non può essere indagato intellettualmente. Le abitudini alimentari diffuse attualmente restringono le esperienze percettive.
Le persone vivono l’illusione di aver accesso a qualsiasi cibo, i ristoranti etnici propongono menù esotici, ma gli ingredienti sono pochissimi, i sapori artificiali. Di fatto il cibo disponibile è limitato. Molti cibi incontrati nella nostra infanzia non li ritroviamo più. Sono scomparse molte varietà di vegetali. I banchi carichi del supermercato ci offrono una biodiversità compressa tra le maglie della produttività, mutilata dalle coltivazioni intensive, povera. Il nostro gusto riceve pochi stimoli, si abitua a sapori sempre uguali, diventa ottuso.

Aprire la gabbia delle nostre abitudini e uscire nel mondo ci preserva dall’ottusità. Assaggiare ingredienti sconosciuti con mente aperta ci rende più liberi. 

Provate a cucinarvi un congee. Domani pubblicheremo la ricetta.
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Congee: zuppa di riso diffusa in Asia con molti nomi diversi. Si chiama chok o jook in Cina, jok in Tailandia, chao in Vietnam, o-kaju in Giappone. Si consuma quotidianamente a colazione. A pranzo o a cena, in versione dolce o salata, condito a piacere con verdure, spezie, alghe, pesce. Ogni famiglia ha proprie ricette per prepararlo. Ha potere lenitivo per stomaco e intestino. Si usa anche in svezzamento e convalescenza.
Lorella