Cibo o prodotto?


In questo periodo stiamo progettando la cucina della nostra sede, tra poco iniziano i lavori e dobbiamo avere chiara la disposizione per predisporre gli impianti.
Visitiamo fornitori, discutiamo su come organizzarla, valutiamo attrezzature…
Siamo bombardate dalle proposte degli ultimi prodotti supertecnologici, e a volte ci sentiamo un po’ obsolete, perchè le nostre esigenze suonano estremamente semplici, quasi ingenue…

Oggi pomeriggio ad esempio eravamo ad una dimostrazione di una azienda che produce cucine industriali: un cuoco ci illustrava le meraviglie di un forno spaziale e cucinava nel frattempo cibi bellissimi.
Noi perplesse ci chiedevamo quanto di quello che stavamo vedendo fosse fruibile per noi. Nel complesso pochissimo.
Le esigenze di chi fa ristorazione sono agli antipodi rispetto alle nostre.

Chi gestisce un ristorante deve prima di tutto poter preparare in poco tempo ciò che il cliente ha chiesto, presentandogli nel piatto un “prodotto” bello esteticamente e che soddisfi il gusto.
Questa operazione deve essere remunerativa per l’azienda ristoratrice, quindi vanno evitati tutti gli sprechi. Di materia prima e di tempo. Vanno privilegiati i piatti che offrono un risultato che ben impressioni, con un investimento contenuto.
Si parla anche di equilibrio del piatto, ma questo non ha nulla a che fare con il valore nutritivo e vitale, si tratta solo di equilibrio estetico e di gusto.
Il problema della buona conservazione è valutato nell’ottica del rispetto delle norme vigenti, utilizzando tutte le tecnologie a disposizione per rendere la “vita” di un alimento più lunga possibile.

Il valore energetico di un alimento o la sua carica vitale sono parametri inesistenti: se posso conservare una verdura con un aspetto “fresco” per trenta giorni, dopo averla cotta, poi abbattuta, poi congelata oppure pastorizzata, poi di nuovo rigenerata, con in mezzo vari passaggi di sottovuoto, nei limiti consentitemi dalla legge, ho sfidato e vinto le leggi della natura.
Le leggi che valgono nel frigo di casa mia qui non valgono più…

Però io non sono sicura che sia questo ciò che desidero avere nel mio piatto prima e nel mio stomaco poi…
Ho assaggiato alcune cose tra quelle preparate, poche in realtà, perchè molte erano vari tipi di carne ed io non la mangio, però ero perplessa mentre le mangiavo.
Erano buone, appena preparate, però a me sembravano vuote di contenuto.
So che mi muovo su un terreno scivoloso, però desidero lo stesso proseguire.
Quello che voglio dirvi è che l’intenzione che muove le mani di chi cucina trasferisce sul “prodotto” un valore non misurabile scientificamente.
Tale valore, insieme all’alta qualità delle materie prima, è in grado di rendere il cibo un nutrimento.

Ciò che io vorrei mangiare è un cibo, non un “prodotto”.
Sembra una distinzione oziosa, ma rifletteteci, secondo me non la è.
Alla fine ho assaggiato un dolcetto, un “cremoso” cotto nel forno dei miracoli insieme a carne e pesce e del tutto incontaminato nel sapore.
Era una crema all’amaretto, buona di sapore.
Ne ho mangiata poca, due o tre cucchiai.
Gli ingredienti sono semplici: burro, uova, zucchero, panna.
Le mie papille poco avvezze erano leggermente stordite da questa forte stimolazione… il mio palato aveva una sensazione di untuosità poco gradevole…
Sono tornata a casa e non ho cenato.

Come dice Silvia si vede che mi sono ingentilita: se mangio qualcosa di diverso dai cibi  cui sono avvezza mi sento subito a disagio.
Ieri ho fatto i biscotti di avena, avrei voluto mangiarne uno ma non ce la faccio, ho un po’ fame ma persiste un senso di nausea latente. Quindi adesso vado al cinema: quando torno ne mangerò un paio e poi magari vi posto anche la ricetta…

Lorella


Commenti (2)

  1. Mr. Alobeto

    Questa riflessione mi fa venire in mente le preparazioni di Olii Medicati Ayurvedici. Tradizionalmente, e probabilente ora non più, era un rito complesso e venivano cucinati gli olii con le erbe in calderoni per tre giorni affinacati ad altrettanti Mantra e Puja(Atti devozionali), cioè facendo si che all’interno del preparato ci fosse tutta l’energia cosmica disponibile in purezza. in altre parole si potrebbe dire cucinavano con Amore, e quell’Amore veniva trasmesso nella Cura. Il cibo come lo prendono le Braglia’s Sisters è un pò così, un Atto Devozionale. Una Bakti.

  2. Luca

    Ciao Lorella! Trovo verissimo ciò che scrivi.
    La scienza moderna non sa praticametne NULLA di cosa sia la vita, e quindi non ha idea di come fare per nutrirla. L’aspetto energetico delle cose, dei cibi in particolare, è invisibile ma fondamentale, ed è una cosa che si può sperimentare solo nella pratica. Ci vuole pertanto qualcuno che ti permetta di farne esperienza diretta.

    Più volte mi è successo di vedere persone che, dopo un solo pasto preparato dalla cuoca più speciale che conosca, hanno ritrovato una serenità che avevano dimenticato da mesi, o da anni. Magari mangiando solo riso e verdure….
    Come se fossero il riso e le verdure ciò che fanno il miracolo!
    Le proporzioni, i piccoli accorgimenti involontari e la “energia” del cuoco sono molto, molto più importanti.

    Cucinare è alchimia, non chimica…. 😉
    Ciao!

I commenti sono chiusi.